domenica 2 marzo 2008

Dall'Antico Testamento: i pericoli del bere...

Amnon, figlio di re Davide, desiderava la sua splendida sorella Tamar. Dopo numerosi tentativi di sedurla Amnon riuscì ad attirarla nella propria camera da letto dove abusò di lei. Del grave fatto vennero a conoscenza sia il re Davide, che non ebbe il coraggio di punire il suo primogenito, e Assalonne il giovane fratello della vittima e quindi del carnefice. Assalonne era consapevole che il fatto, per il bene del regno, andasse tenuto nascosto ma nutriva anche un forte rancore per Amnon. Passarono quasi due anni e un giorno, in occasione della tosatura delle pecore, Assalonne organizzò un banchetto al quale fu invitato anche Amnon. Assalonne non invitò il fratello maggiore per cortesia o per il piacere di averlo come ospite, ma per vendicarsi, infatti dette ordine alla sua servitù di spiare il comportamento del fratello per avvertirlo quando fosse ubriaco e incapace di reagire, con lo scopo di assassinarlo. Così Amnon venne ucciso durante il pasto per vendicare l'onore di Tamar. Assalonne dopo il delitto fuggì lontano, mentre Davide, addoloratissimo per la morte del primogenito e per l'efferatezza mostrata da Assalonne, trascorse tra anni di lutto.
L'immagine dell'assassinio durante il banchetto rappresenta un'iconografia rara che compare con maggiore frequenza nel '600, quando il linguaggio pittorico si apre alle scenografiche descrizioni di banchetto e al gusto crudo della violenza e del dramma.
Dipinto: Convito di Assalonne, Mattia Preti, 1657, Napoli, Museo di Capodimonte.


sabato 5 gennaio 2008





La frutta a Roma 2000 anni fa.

La frutta era importantissima nell'alimentazione dei Romani che l'amavano soprattutto durante i dessert. Le specie di frutta più diffuse e consumate erano i fichi, le mele e le pere, di cui si coltivavano decine di qualità, oltre a mele cotogne, ciliege e more. Leggendo quesi nomi viene da chiedersi se erano a conoscenza della bontà degli agrumi, in effetti questo tipo di frutto era si conosciuto ma non destava nessun gustoso interesse. La frutta era in parte venduta dai produttori e in parte da commercianti specializzati detti pomarii. A Roma i fruttivendoli anzi i "fruttaroli" occupavano l'area vicina al Circo Massimo o l'inizio della Via Sacra. Nella moltitudine di genti che circolavano in queste due zone della città comparivano di tanto in tanto dei venditori ambulanti che, come dimostra un bassorilievo conservato nel museo di St. Germain, urlavano "signore, signore mie!" per pubblicizzare le loro mele saporitissime raccolte in piccoli cesti. I cestini di frutta erano anche considerati doni cortesi, Ovidio consigliava all'amante di dedicare alla sua metà un canestro di frutta, raccontando magari una frottola: "che sono state acquistate in un podere alle porte della città, puoi dirlo anche se le hai comprate sulla Via Sacra". :-)

giovedì 15 novembre 2007


Azio. Come l'esito di una battaglia può cambiare il gusto di un popolo.


Il regime alimentare dei romani era inizialmente assai semplice, non bisogna dimenticare che la civiltà romana ebbe origine da un villaggio di agricoltori, uomini abituati a consumare i prodotti della terra che coltivavano con impegno e sacrificio. La dieta era principalmente composta da cibi vegetali, il più diffuso era la puls (una sorta di polenta a base di farro). Questo modello alimentare caratterizzò la cultura romana per molti secoli, finchè una guerra tra due consoli non solo cambiò la storia politica di Roma ma anche la varietà del cibo consumato dai romani. La guerra in questione è quella combattuta da Ottaviano e Antonio, il primo era considerato il difensore delle tradizioni romane, mentre il secondo era ormai visto come un traditore che alleatosi con Cleopatra avrebbe messo in serio pericolo l'integrità dello Stato. I due imponenti eserciti nel 31 a. C. si affrontarono in una battaglia navale a largo delle coste occidentali della Grecia, come si sa vinse Ottaviano, la sua vittoria rivendicò la supremazia occidentale sull'oriente ma anche la possibilità di spalancare le porte di quei mercati asiatici da cui arrivarono sulle tavole delle città romane cibi sino a quel momento mai assaporati. Da questo per i romani più abbienti mangiare non significò più soddisfare una necessità fisiologica ma scoprire, attraverso nuovi profumi e spezie sconosciute, il sapore del cibo.

giovedì 28 giugno 2007

Il triclinium



La cena delle famiglie più ricche si svolgeva in una stanza chiamata triclinium, era un ambiente riccamente decorato con marmi e mosaici. Il termine triclinium deriva dal greco: letto a tre posti su cui si sdraiavano i commensali. Ogni sala era in grado di contenere nove persone che occupavano i tre letti: l'imus, il medianus e il summus. Al centro della stanza era posto un tavolino inizialmente quadrato e successivamente tondo su cui venivano sistemate le pietanze. I letti venivano posizionati attorno al tavolo formando un ferro di cavallo. I partecipanti alla cena si sdraiavano di sbieco sul triclinio sorreggendosi con il gomito sinistro. Alcuni cuscini: posti sul letto separavano i posti cui si accedeva scalzi dopo che uno schiavo aveva lavato i piedi dei convitati con acqua profumata. La perfetta riuscita della cena era affidata al lavoro di servitori specializzati: il nomenclator assegnava a voce alta i posti chiamando per nome gli invitati, i ministratores erano addetti al servizio di tavola curando che non mancassero mai il vino e l'acqua. Il compito di mescere le bevande era affidato agli schiavi più giovani, era consuetudine che durante il banchetto gli ospiti venissero rallegrati da comici e dai derisores, dei nani-buffoni simili ai giullari del medioevo.

lunedì 11 giugno 2007

Petronio e il banchetto di Trimalcione
Il Satyricon di Petronio è un'opera interessante che in questo caso ci consente di "fotografare" una cena dell'antica Roma, organizzata dal ricchissimo Trimalcione. Si tratta di cibi ricercati e costosi ben lontani dalla dieta dei primi romani che basavano la loro alimentazione sul consumo di piatti a base vegetale, sarà con la fine della Repubblica e l'inizio del dominio imperiale che sulle tavole dell'Urbe giungeranno cibi priovenienti dai mercati asiatici e africani, ne conseguì da parte delle classi più ricche la volontà di stupire e mostrare la propria opulenza anche a tavola presentando ai convitati dei cibi "nuovi" e ricercati...
“…Tornando all’antipasto, su un grande vassoio era sistemato un asinello, di bronzo corinzio, che portava una bisaccia a due tasche, delle quali l’una conteneva olive chiare, l’altra scure... Dei piccoli sostegni, poi, saldati al piano del vassoio, sorreggevano dei ghiri spalmati di miele e cosparsi di polvere di papavero. Non mancavano anche delle salsicce che friggevano sopra una griglia d’argento e sotto la griglia prugne siriane con chicchi di melagrana... Seguì una portata: si trattava di un vassoio rotondo che aveva disposti, uno dopo l’altro, in circolo, i dodici segni zodiacali, sopra ciascuno dei quali il maestro di cucina aveva sistemato il cibo proprio e adatto al referente... Accorsero poi saltellando a tempo di musica quattro camerieri e tolsero la parte superiore del trionfo. Compiuta questa operazione, scorgiamo nella parte più bassa pollame e ventri di scrofa ed in mezzo una lepre, provvista di ali, in modo da sembrare un Pegaso... e già era stato sistemato sulla tavola un trionfo contornato da alcune focacce, il cui centro era occupato da un Priapo, realizzato da un pasticcere, che secondo l’iconografia consueta teneva nel suo ampio grembo ogni sorta di frutti e di grappoli... Concesso quindi un momento di calma, Trimalcione fece servire i dolci, consistenti in tordi fatti di farina di segale impastata, farciti di uva passa e noci. Fecero loro seguito anche delle mele cotogne su cui erano confitte delle spine, in modo da sembrare dei ricci di mare”
(Petronio, Satyricon, 31-69 passim.)

domenica 3 giugno 2007

La bionda bevanda degli eroi: se-bar-bi-sag.



Gilgamesh re di Uruk governava in maniera spietata e crudele, gli dei decisero di fare qualche cosa per migliorare il suo carattere e crearono, modellandolo dal fango, un eroe che sceso sulla terra avrebbe dovuto far tornare la ragione al tiranno.
Enkidu visse la sua giovinezza in una foresta, crebbe a contatto con la natura ma...non parlava e non aveva la capacità di ragionare, così gli dei decisero di illuminarlo concedendogli il sapere e la saggezza come? Beh in questo modo:
Egli bevve della se-bar-bi-sag
ne bevve sette volte
il suo spirito si sciolse
egli parlò ad alta voce
il suo corpo si riempì di benessere
il suo volto si illuminò...
La se-bar-bi-sag era la birra che i popoli mesopotamici consumavano in grande quantità, era una bevanda considerata sacra, in onore della dea Nidaba protettrice delle arti e della letteratura si distribuivano alla popolazione grandi quantità di se-bar-bi-sag, la sua produzione era rigidamente regolata dalle leggi statali al punto che i maestri birrai per esercitare il loro mestiere dovevano essere iscritti in un apposito albo.
Come il vino per i romani e i greci così la birra per i sumeri e i babilonesi prima e per gli egiziani poi rappresentava un simbolo culturale da proteggere e valorizzare.

lunedì 21 maggio 2007

UN ANTIPASTO “MARZIALE


“Per prima cosa, ti farò assaggiare la lattuga, serve per stuzzicare lo stomaco; poi i filetti tagliati di porro; subito dopo un tonno non fresco […], non mancheranno ancora uova cucinate sotto uno strato di cenere, troverai ancora il formaggio rappreso nei forni del Velabro, e le olive che hanno risentito il freddo del Piceno. Tutto ciò per assaggio: basta no?”

Marziale, Epig., libro XI, LII

E’ attraverso i classici che possiamo comprendere l’importanza che nei banchetti rivestiva il primo servizio (gustatio), assai simile al nostro antipasto. E’ il libro di Apicio (De re coquinaria) che però ci fornisce le informazioni più dettagliate sulla composizione di questi antipasti, le ricette sono decine e differenti tra loro ma un ingrediente è quasi sempre presente: il Garum (vedi post precedente del 18/4/2007). Ecco le due ricette:

LUMACHE INGRASSATE CON LATTE (Cocleas lacte pastas)

Prendere delle lumache di media grandezza, pulirle accuratamente, levare loro le membrane in modo che possano uscire e metterle in un contenitore in cui sia stato precedentemente versato del latte e del sale. Lasciare che spurghino per qualche giorno e una volta diventate talmente grosse da non poter più rientrare nel guscio, friggerle in olio ben caldo. Disporle quindi in un piatto da portata e servire in tavola dopo averle irrorate con del vino e qualche goccia di garum.

(Apicio, De re coq., libro VII)

PURE’ DI ERBAGGI (Holus molle)

Nettare del sedano, tagliarlo in più pezzi, metterlo in una pignatta contenente acqua e un po’ di sale. Una volta bollito e scolato, ridurlo a pezzettini. Triturare in un mortaio del pepe, della maggiorana, del ligustico della cipolla e versare in un tegame contenente del vino, dell’olio e qualche goccia di garum. Una volta ben caldo mischiarvi il sedano. Disporre in un piatto da portata e servire in tavola.

(Apicio, De re coq., libroIII)

Ricette tratte da: Apicio, De re coquinaria, trad. it. di Paolo Buzzi, Milano, Veronelli Editore, 1957.